A Magliano Alfieri l’azienda “Slow eat Elicioltura Italia” ha messo a punto il ciclo breve di allevamento unico in Italia

03.10.2020

magliano alfieri lumache
Articolo pubblicato su L’Agricoltore Cuneese n. 05/2019 – di Paolo Ragazzo

Un solido approccio tecnico e scientifico finalizzato al miglioramento dell’efficienza degli allevamenti a cielo aperto di lumache con l’obiettivo di sviluppare un metodo che garantisca la massima capacità produttiva coniugata al valore di una filiera italiana naturale. È questa la mission di “Slow eat elicicoltura Italia”, azienda di Magliano Alfieri condotta da Matteo Marrara (26) con l’aiuto di Paolo Bove (43), amici conosciutisi sul lavoro e accomunati dalla passione per le lumache. “Ci siamo accorti sul campo in precedenti nostre esperienze lavorative come nel settore mancasse una tecnica di allevamento realmente efficace in grado di dare un’idea di costi e ricavi – spiegano i due imprenditori –; da questa esigenza è nato il sistema del ciclo breve, un metodo brevettato unico in Italia, per la riproduzione di uova da cova di chiocciole destinate al ciclo di allevamento”.

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È un sistema di allevamento che prevede l’inserimento di uova di chiocciole all’interno dei recinti, anziché i riproduttori. Così l’allevatore non deve più preoccuparsi della riproduzione, ma si occupa solamente della fase di ingrasso. Il ciclo breve permette di avere una produzione soddisfacente in termini di quantità e di tempo.
Il ciclo breve, infatti, avviene in 7-8 mesi, anziché 18-20 mesi del sistema tradizionale. Le chioccioline appena schiuse vengono inserite verso la metà di aprile fino a metà maggio e il raccolto avverrà nel mese di ottobre-novembre, evitando cosi il periodo invernale soggetto a grande mortalità.

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E’ fondamentale la preparazione del terreno

“Si costruisce un perimetro e lo si divide internamente in recinti della dimensione di 45 metri per 3 metri – spiega Matteo –. Da un ettaro si ricavano 40 recinti in cui la prima cosa da fare è seminare, ad inizio primavera, la rapa da foglia e la bietola da costa, per l’alimentazione delle lumache, e la cicoria spadone, per la loro protezione dal sole e mantenere l’habitat alla giusta umidità. Quando la vegetazione raggiunge circa i 15/20 centimetri di altezza si inseriscono le uova. In ogni recinto si arriva ad avere più o meno 10mila piccoli”. Parallelamente si semina quella che sarà l’alimentazione supplementare: girasoli, biete, cavoli e zucche, che dopo i due mesi di vita dei piccoli vengono inseriti nei vari recinti, facendo attenzione a rimuovere in breve tempo ciò che non viene mangiato per evitare marciscenze. “A fine ciclo di allevamento alimentiamo le lumache con cibo supplementare e frutta fresca per ammorbidire la carne”, aggiunge Paolo.

La raccolta avviene manualmente servendosi di tavole di legno utilizzate principalmente dalle lumache per ripararsi le quali fungono da calamita, basta capovolgerle e le lumache son lì solo da raccogliere. Fondamentale è anche l’irrigazione che serve per mantenere fresca e appetitosa la vegetazione.

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Ma esiste un mercato interessante per le lumache? “Statistiche ufficiali dicono che in Italia le consuma il 25/30 per cento della popolazione, ma se il prodotto fosse più reperibile e si sapesse da dove arriva si salirebbe ai livelli di Spagna e Francia (60%) – continuano Matteo e Paolo -. Non esiste ancora una vera e propria produzione italiana capace di garantire certi numeri, quindi c’è margine per crescere. Noi riforniamo rinomati ristoratori della zona che apprezzano molto la possibilità di avere lumache italiane allevate con soli prodotti naturali”.

Quello ambientale è un altro aspetto importante ci tengono a sottolineare i due elicicoltori: “Le lumache sono vere e proprie sentinelle della salute del terreno, sono come ‘spugne’ che assorbono tutto quanto trovano e, per questo motivo, vanno quindi nutrite con attenzione. Noi, ad esempio, non utilizziamo alcun prodotto fitosanitario in allevamento”. La vera sfida per l’elicicoltura del domani in Italia: divulgare maggiormente la cultura del consumo di lumache che nel nostro Paese dal secondo Dopoguerra si è andata via via perdendo.


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